All’interno del Movimento Etico Digitale abbiamo deciso di intervistare chi sta partecipando attivamente e alimentando questa esperienza collettiva. La ragione principale è dare voce alle persone che lo animano, raccontare cosa significa questo progetto per chi lo vive dall’interno e comunicare i valori e le azioni che lo caratterizzano.
La prima persona intervistata è Gregorio Ceccone (counselor e formatore di Media Education), che nel Movimento Etico Digitale ha il ruolo di coordinatore dei formatori.
Gregorio, senza troppa originalità partiamo dall’inizio della storia.
Perché hai iniziato a collaborare nel Movimento Etico Digitale?
Dunque, tutto è cominciato nell’ottobre del 2015 quando all’interno di un evento chiamato SMET (Social Media Educative Training) ho conosciuto Davide Dal Maso, il fondatore del movimento.
A quel tempo il progetto era solo nella mente di Davide. Lui però, oltre a parlarmene con entusiasmo, mi ha raccontato in modo molto chiaro la vision e la mission. E mi ha proposto di collaborare.
Quindi ti ha convinto fin da subito?
Ad essere sincero, no (ride). Ma non per Davide, verso cui ho una fiducia totale. Semplicemente perché pensavo che fosse una sfida troppo ambiziosa.
Poi però ho accettato e mi sono ricreduto rapidamente.
Nello specifico, di cosa ti occupi nel movimento?
Mi occupo della creazione di contenuti e delle slide che presentiamo agli eventi nelle scuole, dell’organizzazione dei webinar e dei materiali con cui comunichiamo esternamente.
Sono coordinatore dei formatori: quindi assieme a Davide, valuto le richieste di chi si candida per collaborare. Entrambi poniamo sempre attenzione sulla motivazione che porta una persona a candidarsi come formatore e ovviamente anche sull’area geografica in cui vive, per coordinarci sempre al meglio.
Quali sono i prossimi passi?
Per prima cosa, abbiamo deciso di diventare ufficialmente un’associazione e questo dettaglio ci permette di accedere in modo più efficace a bandi, sponsorship e partnership.
La nostra intenzione è ovviamente dare sempre maggiore visibilità ai valori del movimento, ampliare i contatti, stringere collaborazioni ed essere sempre più capillari nei territori.
Poi ci sono altre novità su cui stiamo lavorando, che però teniamo ancora top secret per comunicarle quando sarà il momento opportuno.
Questo è un progetto nato da menti giovani e che ha il proprio target principale nei giovani. Ma ti chiedo: cosa consiglieresti sinceramente a una persona adulta che utilizza con costanza i social network?
Principalmente consiglierei di riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni online, dato che fanno tutte parte di un grande sistema che può cambiare la realtà digitale e reale che ci circonda.
Per esempio, farsi abbindolare dalla miriade di fake news che circolano senza impegnarsi a sviluppare un senso critico (per capire, ad esempio, se una notizia è vera o falsa) oppure non informarsi sull’autore di una notizia, mi fa pensare che certi orientamenti e ideologie si sviluppano perché fondamentalmente sono basati sull’ignoranza. Ignoranza nel senso letterale del termine, sia chiaro, non lo dico con tono offensivo.
Inoltre, sarebbe interessante riflettere sul fatto che siamo noi a dare potere agli influencer. Seguendoli, commentando i loro post, incitandoli e spesso idolatrandoli. E anche se non possiamo essere tutti dei grandi influencer, nel momento in cui “partecipiamo attivamente al gioco” siamo però tutti dei modelli educativi.
Ecco, per me dovremmo riflettere sulle nostre modalità di interagire con la tecnologia e su come possiamo rapidamente diventare manipolabili dalle grandi aziende (vedi alla voce: big data).
Dovremmo aumentare la consapevolezza della nostra esperienza digitale?
Guarda, io penso che non dobbiamo diventare per forza degli esperti informatici. Però, quando usiamo la tecnologia, dovremmo porci delle domande e riuscire a mantenere la capacità di fermarci per renderci conto di cosa stiamo guardando nello schermo. E dovremmo allenarci a chiedere a noi stessi perché stiamo dedicando tempo a osservare quel tipo di contenuto, quali sono le persone che hanno messo “mi piace”, ecc. Un altro consiglio che mi sento di dare è cercare spazi e momenti di disconnessione dagli strumenti digitali e di riconnessione con i propri pensieri. Questo è un tema delicatissimo, che ci riguarda tutti.
Queste cose che hai appena detto, le diresti allo stesso modo a un nativo digitale?
No. Perché un nativo digitale, adolescente o preadolescente, sta vivendo “il suo tempo”. Un tempo in cui la sua percezione è molto ancorata al presente. In più, l’adolescenza porta con sé un fisiologico senso di onnipotenza, che difficilmente permette di considerare sempre le conseguenze delle proprie azioni. Come ci si aspetta, invece, da un adulto. Perciò aiuterei i nativi digitali a riflettere sulle conseguenze effettive che le nostre azioni hanno nelle reti sociali in cui ci troviamo. Ai giovani chiederei questo: “Quando decidiamo di comunicare, riusciamo a vedere che cosa stiamo facendo agli altri?”
La prossima domanda è più ampiamente sociale e politica.
Sull’educazione digitale in Italia, qual è la tua opinione sulle esigenze attuali e sui futuri auspicabili?
L’educazione digitale in Italia è molto eterogenea. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di conoscere insegnanti che reputo delle eccellenze, perché hanno una visione del tempo presente e un amore verso la propria professione che mi entusiasma.
Uno dei grandi problemi in Italia è che non è sempre un sistema meritocratico. Quindi da insegnante, se decido di mettere passione totale nel mio mestiere, l’implicazione col digitale diventa inevitabile. Ma se invece decido di attenermi unicamente al libro di testo e lascio in disparte lo sforzo di progettazione? Posso farlo. Posso liberamente farlo. Però qualche occasione di interpretare la realtà (o aiutare a farlo) me la perdo per strada.
In più, c’è da avviare e sostenere tutto un lavoro sull’educazione civica, prima che su quella digitale. Le due cose sono entrambe fondamentali e fortemente connesse.
Se parliamo di cambiamenti sociali, di innovazione legislativa e di politica, dobbiamo parlare di digitale. Ma anche se parliamo della politica locale dei piccoli comuni, dobbiamo interfacciarci con il mondo delle relazioni e delle comunicazioni digitali.
Quindi dovremmo abituarci a parlare di educazione civica digitale. Per praticarla con più coraggio.
Cosa ti ha dato finora questo “ecosistema umano”?
Il MED è un progetto basato su un impegno volontario di persone che, com’è normale, hanno i loro impegni e le loro esigenze quotidiane. Quello che finora mi ha arricchito di più è la possibilità di fare rete con persone che hanno un impianto valoriale comune e una spinta alla condivisione davvero intensa.
Questo, tra l’altro, tende a escludere abbastanza naturalmente chi ha obiettivi differenti o chi si relaziona a noi con poca trasparenza, magari per finalità unicamente lucrative.
Il MED è un luogo di menti giovani e fresche, con età ed esperienze anche molto diverse. È costituito da persone propositive e generative, che creano un network positivo e dinamico. Ed è una rete di “persone fighe”, aspetto di cui mi sono reso conto nel tempo e per cui sono molto grato.
Siccome non l’hai detto con alcuna spocchia, mi dici chi sono le “persone fighe” per te?
Beh, ti parlo di quelle con cui mi relaziono io. Di solito non hanno i superpoteri, ma quattro caratteristiche costanti: sono entusiaste, appassionate, professionali e pragmatiche.