La nuova intervista è a Danila Bavastro | Area Marketing, Social Media & Innovation presso Genoa Cricket and Football club S.p.a.
Danila, ci racconti come sei venuta in contatto con il Movimento?
Parte tutto dalla mia libreria di casa, che è piena di testi di Digital Marketing e Social Media Management. Un giorno, rimettendola a posto, ho ritrovato un volume sull’etica della comunicazione, che avevo studiato all’Università per preparare un esame. Siccome è un tema che mi appassiona da tempo, ho deciso di approfondirlo cercando sul web e, attraverso le parole chiave, sono finita sul sito del Movimento.
Com’è quindi che ti sei messa in gioco?
Ho preso contatti con l’organizzazione e, con mia grande sorpresa, ho capito di essere la prima volontaria in Liguria. Questo mi ha dato subito una grande spinta nell’avviare iniziative educative assieme al Movimento nella mia Regione.
Ti sei sentita una sorta di pioniera?
Diciamo che l’ho percepita come una missione: quella di poter dare un contributo al mio territorio. E poi l’ho vissuta anche come una sfida, dato che la Liguria non è all’avanguardia come altre regioni sul versante digitale.
Cos’è che ti spinge a dare un contributo sociale, in un progetto educativo così ambizioso?
Aiutare gli altri è aiutare anche noi stessi. Chi fa volontariato, questo lo sa benissimo. Il fatto di poter partecipare a questo progetto mettendo in campo le mie competenze, per me è estremamente gratificante. In questa attività, tendo a porre l’attenzione su quello che conta davvero, cioè la possibilità di essere utile agli altri, quella di essere all’interno di un network di professionisti e quella di creare relazioni e imparare continuamente. Sono aspetti che reputo ancora più importanti del fatto di crearsi un proprio business.
Il contributo che diamo come educatori è quindi anche apprendimento?
Di sicuro. Per chi si impegna nel mondo dell’educazione, il saper trasmettere agli altri quello che si sa è fondamentale. Nel tempo ho imparato sulla mia pelle che, in ambito educativo, non è sufficiente solo elaborare le informazioni su uno specifico tema, ma anche saperle divulgare.
Sostieni che “i social e la Rete in generale sono una risorsa, con potenzialità che favoriscono l’inserimento nelle aziende di nuove professionalità”. Come si traduce questo ai giovani? Come si fa a raccontare il digitale non solo come strumento ludico-comunicativo, ma anche come strumento di acquisizione di competenze?
Parto dal presupposto che, certamente, parlare dei rischi nel web è importante. Però, come diciamo spesso, dovremmo parlare ai ragazzi anche delle opportunità che possono ritagliarsi. Raccontare i nostri percorsi e le nostre esperienze, per esempio, può essere un qualcosa di avvincente e stimolante, che aiuta i giovani a intravedere anche alternative rispetto a quello che viene solitamente raccontato come l’unico percorso possibile.
La nostra sfida, per me, è far capire ai ragazzi perché siamo arrivati a un determinato punto e come ci siamo arrivati, includendo le difficoltà e gli ostacoli che abbiamo incontrato.
Parli per esperienza personale, giusto? Nel senso che il tuo percorso professionale è caratterizzato da una capacità di adattamento?
Posso dirti che qualche anno fa ho capito che le competenze che avevo in ambito di comunicazione digitale, presto non mi sarebbero più bastate. Quindi, senza interrompere il mio percorso professionale, ho deciso di investire in un Master di Social Media Marketing. Da lì, la volontà di assumere nuove responsabilità mi ha portato ad ottenere in azienda il ruolo di Social Media Manager. Posizione che sarebbe stata estremamente improbabile senza quei precedenti percorsi di formazione.
Ti occupi da molto tempo di comunicazione sportiva. Allora ti chiedo: negli ultimi anni come sta cambiando la comunicazione digitale sportiva? Quali risorse hanno le società per riuscire non solo ad attrarre, ma anche a coinvolgere e a far vivere esperienze ai tifosi prima e dopo gli eventi?
Ti parlo del mondo del calcio, che è quello che conosco meglio. Nel calcio il pubblico ha un forte senso di appartenenza e il coinvolgimento emotivo dei tifosi è fondamentale. Questo si ottiene secondo strategie di marketing che sono molto cambiate negli ultimi tempi. Gli eventi sportivi infatti sono diventati dei veri e propri show, che devono saper offrire esperienze alle persone che vi partecipano.
Quindi le società devono essere in grado non solo di offrire eventi ma di saper attivare un coinvolgimento collettivo e unificante?
Esattamente. Per le società diventa sempre più fondamentale incentivare i tifosi a essere protagonisti di un’esperienza. Se si fa leva sulle loro emozioni, si ha modo di fidelizzarli maggiormente e di aumentare il loro engagement. Un tifoso soddisfatto ed emotivamente coinvolto nei luoghi della sua squadra del cuore, soprattutto quando ha la possibilità di vivere il “dietro le quinte”, è probabile che segua gli eventi con ancor più attaccamento. E questo ha ovviamente dei benefici da un punto di vista del marketing delle società.
Com’è cambiato il tuo lavoro nella gestione della comunicazione social del Genoa?
Il cambiamento di maggiore impatto che ho riscontrato riguarda la quantità (e quindi la capacità di gestione) dei canali di comunicazione. Anni fa, quando ero agli esordi come Social Media Manager, le piattaforme erano essenzialmente due: Facebook e Twitter. La prima raggruppava un po’ tutti, mentre la seconda fungeva più da agenzia di stampa con flash news. Negli ultimi anni è cambiato il mondo. Noi, come molte altre società, abbiamo ampliato la nostra comunicazione con Instagram, con Tik Tok e con il canale YouTube, che sfrutta i trend più in voga del momento.
Ci racconti un’esperienza di cui sei particolarmente orgogliosa?
Siamo stati la prima società a creare un modello di intrattenimento per i tifosi, nel pre-partita e nell’intervallo. Si chiamava Genoa Social Wall e sostanzialmente consisteva nel coinvolgimento dei tifosi (tramite l’hashtag #GenoaWall) volto a scattarsi una fotografia che quasi in tempo reale finiva nei maxischermi. L’iniziativa, realizzata con il supporto di un’agenzia di Roma, è stata premiata al Web Marketing Festival di Rimini nella categoria Social sport.
Molte persone cullano il sogno di diventare giornalisti sportivi, senza però applicarsi in una faticosa acquisizione di competenze. Ci confermi che per scrivere di sport, non basta solo la passione?
Assolutamente, come in tutte le cose. La passione è un scintilla, ma poi per lavorare nel mondo della comunicazione sportiva serve tanto studio, tanta applicazione, costanza e volontà di imparare da chi ha più esperienza di noi. Poi certamente ci vuole anche il coraggio di buttarsi, che include la possibilità di fare degli errori. Perché, come mi piace ripetere, “i rigori li sbaglia solo chi li tira”.