In un mondo sempre più digitale, i professionisti della salute mentale stanno studiando l’impatto delle nuove tecnologie sul nostro funzionamento psicologico e cognitivo (come il nostro cervello lavora).
A questo proposito, cos’è il digitale?
Per capire cos’è il digitale e come vi siamo arrivati è interessante fare un passo indietro: nella storia la prima forma di comunicazione e di trasmissione culturale era il linguaggio verbale: pensiamo ad esempio ai filosofi o alle novelle popolari tramandate di generazione in generazione.
Con il tempo la comunicazione si è evoluta alla forma scritta, permanente e in seguito, grazie ai monaci, che da amanuensi copiavano immensi libri ricchi di cultura, è iniziata la diffusine del sapere, che con l’invenzione della stampa è cresciuta esponenzialmente. Infine, è arrivato il digitale.
Quindi il digitale è una forma di comunicazione e come per gli altri cambiamenti comunicativi, il suo avvento è dovuto alle diverse necessità della società. Allo stesso modo, i bambini vengono spronati a imparare prima di tutto il linguaggio orale e con il tempo quello in forma scritta. Pertanto, perché non insegnare anche l’approccio e i principi che regolano la nuova forma comunicativa, ovvero il digitale? Ed imparare ciò prima di tutto per noi stessi?
La letteratura scientifica riporta evidenze di quanto l’utilizzo del digitale abbia un impatto sia sul nostro tessuto nervoso, sia sulla nostra mente, da un punto di vista psicologico.
E quindi cosa dobbiamo fare? Eliminare il digitale dalle nostre vite?
Il consiglio è quello di evitare la tecnofobia ma piuttosto assumere una buona consapevolezza ed educazione digitale.
La presa di consapevolezza è il primo passo dell’educazione digitale: è attraverso la conoscenza delle nostre abitudini digitali che si procede ad acquisire una buona gestione della tecnologia. Le prime domande importanti da farsi: quanto uso il telefono? Per cosa lo uso effettivamente? L’uso che ne faccio mi crea disagio, a volte? Se le risposte a queste domande ci meravigliano e soprattutto se si realizza di provare del disagio è consigliabile intervenire prima di andare incontro a effetti peggiori.
Quali sono i rischi psicologici?
Diversi studi scientifici riportano un crescente aumento di disturbi di ansia e umore depresso, soprattutto nei più giovani. Inoltre, un altro fenomeno sempre più presente è la dispercezione del sé, di nuovo soprattutto nei bambini e nei ragazzi che devono ancora strutturare la propria individualità e la propria personalità. Anche le relazioni ne possono risentire, con il rischio di isolamento sociale e cambiamenti comportamentali.
Un altro possibile rischio è quello della dipendenza dall’oggetto o dal gioco online. Da sottolineare che, come in altri casi, il digitale così come le consolle di gioco, possono favorire aspetti sociali, relazionali e comportamentali in soggetti più introversi. Per sospettare un disagio psicologico o una dipendenza comportamentale (come da social e video-giochi) è importante prestare attenzione a cambiamenti nelle abitudini: sono spie d’allarme disturbi del sonno, disinteresse per la vita sociale, per lo studio/lavoro, e disagi comportamentali, tra cui ansia, aggressività e irritabilità non motivati e propensione a mentire.
Quali sono alcuni dei meccanismi psicologici caratteristici?
Negli ultimi anni sono state coniate nuove parole per spiegare alcuni fenomeni che si possono presentare con l’uso del digitale. Come la parola ringxiety (dall’unione di due parole inglesi: ring e anxiety) ovvero sindrome della vibrazione fantasma (Deb A, 2015), usata per definire un fenomeno allucinatorio che ha lo scopo di spingerci a prendere lo smartphone e interagirci anche quando non c’è un effettivo bisogno. Oppure la parola nomofobia(acronimo di NO Mobile Phone PhoBIA), che definisce l’ansia da disconnessione (Leon.Mejia et al., 2021) che si può presentare quando non si può accedere al web.
Un altro meccanismo tipico e centrale è il ruolo della dopamina, un neurotrasmettitore del cervello che ha lo scopo di far comunicare tra loro i neuroni, le cellule del nostro cervello. La dopamina entra in gioco in tantissime nostre funzioni come l’attenzione, la memoria, il sonno, la motivazione e il piacere. I suoi meccanismi d’azione hanno un’origine evoluzionistica ben precisa. Infatti in passato ad ogni comportamento positivo per la specie (come alimentarsi) un’intensa scarica di dopamina aveva la funzione di farci provare piacere e quindi rinforzare quel comportamento per farlo ripetere. Al momento, basti pensare che nell’era tecnologica questo meccanismo evoluzionistico è alla base delle dipendenze comportamentali che si possono riscontrare sia nei giovanissimi che negli adulti, come la dipendenza da social, da smartphone o da gaming online.
La nostra evoluzione ci permette di nascere all’interno di una specie e sviluppare tutte quelle funzioni importanti ed evolute semplicemente attraverso le esperienze con la specie stessa. Non a caso, si parla di periodi critici per indicare una finestra temporale sensibile allo sviluppo di certe funzioni (come quelle motorie, linguistiche e attentive). Se durante queste finestre le esperienze non vengono esperite si rischia di compromettere la funzione per sempre e quindi di non riuscire ad arrivare ad un funzionamento nella norma. In questa prospettiva, l’interazione dei più piccoli con gli schermi può portare a rischi importanti. La Società Italiana Pediatri ha rilasciato le linee guida per l’utilizzo degli schermi da parte dei bambini e consigliano nessun tipo di utilizzo almeno fino ai primi due anni d’età e successivamente un uso progressivo in base all’età con supervisione di un adulto.
Le neuroscienze ci dicono che a tutte le età le funzioni cognitive possono essere influenzate dal digitale. Tra le funzioni più colpite, degna di nota è l’attenzione. Rispetto al passato come ti sembra la tua attenzione? Se facendoti questa domanda la risposta è negativa probabilmente è dato dal mondo iper-connesso in cui viviamo. Questi problemi sono facilmente riscontrabili negli adulti abituati ad utilizzare più app alla volta, sia nel lavoro che nel tempo libero.
Questo stesso comportamento nei più giovani ha un impatto non indifferente sullo sviluppo di questa funzione così importante. Le nuove ricerche dimostrano come un uso prolungato degli schermi nella prima infanzia e un numero più elevato di interazioni sui social negli adolescenti aumenti il rischio di sviluppare sintomi riconducibili al Deficit di Disattenzione e Iperattività/Impulsività (noto con l’acronimo ADHD) (Ra et al., 2018; Sukhpreet et al., 2019).
Questi problemi attentivi sono legati al fatto che il nostro cervello ha circuiti separati per l’attenzione endogena (io mi concentro volontariamente su un compito) e l’attenzione esogena (uno stimolo esterno cattura la mia attenzione). Quindi, ogni volta che cerchiamo di concentrarci su un’attività mentale e veniamo attratti da stimoli esterni, i neuroni dei due circuiti si riorganizzano ogni volta per cambiare il tipo di attenzione.
Questa continua riorganizzazione neuronale ha un impatto negativo sulle nostre performance, che risulteranno meno accurate. Da qui capiamo come il nostro cervello non è “programmato” per essere multitasking perché le aree cerebrali che si occupano di “dirigere il traffico” dei vari stimoli è continuamente sovrastimolato.
Cosa possiamo fare per ridurre questi effetti?
Per alleviare l’impatto che il mondo digitale ha sulla nostra attenzione, i ricercatori propongono almeno 1h al giorno di Slow Thinking, ovvero attività rilassanti, senza uso di schermi, come l’attività fisica, la lettura, i giochi da tavolo o la socializzazione. Inoltre, nonostante i rischi mostrati, un atteggiamento negazionista nei confronti del digitale non aiuta né noi adulti né i più piccoli. Infatti, in questa cornice di rischi dovremmo armarci di pazienza e comprendere quelle che sono le problematicità, ma anche le opportunità del web per arrivare ad una convivenza positiva con il digitale. Questa consapevolezza ci permette di trovare un equilibrio secondo il proprio stile di vita, sfruttando al meglio l’era in cui viviamo ed insegnando anche ai più piccoli l’educazione digitale.
Bibliografia
Deb A. Phantom vibration and phantom ringing among mobile phone users: A systematic review of literature. Asia Pac Psychiatry. 2015 Sep;7(3):231-9. doi: 10.1111/appy.12164.
Korte M. The impact of the digital revolution on human brain and behavior: where do we stand? . Dialogues Clin Neurosci. 2020 Jun;22(2):101-111. doi: 10.31887/DCNS.2020.22.2/mkorte.
León-Mejía AC, Gutiérrez-Ortega M, Serrano-Pintado I, González-Cabrera J. A systematic review on nomophobia prevalence: Surfacing results and standard guidelines for future research. PLoS One. 2021 May 18;16(5):e0250509. doi: 10.1371/journal.pone.0250509.
Ra CK, Cho J, Stone MD, De La Cerda J, Goldenson NI, Moroney E, Tung I, Lee SS, Leventhal AM. Association of Digital Media Use With Subsequent Symptoms of Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder Among Adolescents. JAMA. 2018 Jul 17;320(3):255-263. doi: 10.1001/jama.2018.8931. PMID: 30027248.
Radesky J. Digital Media and Symptoms of Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder in Adolescents. JAMA. 2018 Jul 17;320(3):237-239. doi: 10.1001/jama.2018.8932.