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Il grande McLuhan scriveva, oltre 50 anni fa: “Il mezzo è il messaggio”

Il mezzo stesso di comunicazione è in sé la comunicazione in quanto assume maggiore importanza del messaggio che si vuole trasmettere. 

Ancora oggi questo concetto è assolutamente valido: una piattaforma e le idee che essa trasmette sono inestricabilmente legate.
I post personali di Facebook “presumono” un pubblico di persone che l’autore conosce nella vita reale.
Un post di TikTok presume che tu sia un giovane che ha voglia di raccontarsi in maniera provocatoria tramite brevi video.
Un post su Linkedin presuppone che tu ti rivolga ad un pubblico interessato a contenuti attinenti alla tua sfera lavorativa e quindi contenuti utili.

Questo è uno dei primi dilemmi del nuovo docu-drama di Netflix: The Social Dilemma.
Si tratta di un film incentrato sul caos che i social media stanno scatenando nella società.
Il documentario ci racconta che, nel complesso, la nostra salute mentale sta peggiorando, i nostri sistemi politici sono in gioco e le nostre informazioni personali vengono continuamente traghettate tra grandi società.

Temi e controversie

The Social Dilemma (e in particolare, l’ex dipendente di Google Tristan Harris) vuole avvertirci dei pericoli derivanti dall’uso eccessivo dei nostri smartphone e dei nostri account sui social media. I social media sono il “pozzo” in cui siamo caduti prigionieri e, secondo The Social Dilemma, non ci sono quasi vie d’uscita. Questi sono punti importanti.

Allora, qual è il problema?

Il problema è che il mezzo è il messaggio.

Il film è disponibile esclusivamente su Netflix, un servizio di streaming a scopo di lucro che utilizza gli algoritmi che il film diffama così ardentemente. Piuttosto che essere reso disponibile gratuitamente su YouTube, o meglio ancora, Vimeo, The Social Dilemma presume un pubblico pagante con accesso a Netflix. I fatti, le cifre, le riflessioni presenti nel film dovrebbero essere liberamente disponibili a tutti, non solo a quelli con un account Netflix che hanno acconsentito alla vendita e alla manipolazione delle loro informazioni personali.

A parte questo problema, The Social Dilemma dovrebbe essere una visione obbligatoria per tutti i giovani adulti specialmente per chi si affaccia al mondo delle professioni digitali. Se siete dei “boomer” già in ansia perchè i vostri figli stanno troppo davanti allo smartphone o ai videogiochi allora è meglio che vi rivolgiate altrove… questo film potrebbe essere una “mazzata” emotiva.

La struttura di questo docu-drama vede intrecciarsi le testimonianze di ex dirigenti dei social media con un racconto immaginario di una famiglia distrutta, inconsapevolmente o meno, dai social media. The Social Dilemma presenta due mondi, il nostro e quello di questa famiglia immaginaria, come specchi l’uno dell’altro.

Il nuovo oro: i nostri dati.

Si presume generalmente che i nostri account sui social media stiano estraendo i nostri dati. Per la maggior parte, non ci interessa; Facebook ci offre solo annunci mirati per prodotti di consumo, giusto? Abbiamo tutti scherzato sul fatto che Facebook o Google ascoltassero le nostre conversazioni… cosa vuoi che sia! Tanto è abbastanza innocuo, giusto?

Gli algoritmi che fanno funzionare il nostro alveare digitale non vogliono venderti prodotti; vogliono venderti al miglior offerente. Tu sei il prodotto. I tuoi dati sono “la ciccia”.

Il film cita Edward Tufte:
“Ci sono solo due settori che si riferiscono ai propri clienti come “utenti”: droghe illegali e software”.

La Silicon Valley ci ha fatto diventare dipendenti dai loro prodotti (il pulsante “Mi piace” di Facebook è un esempio fondamentale di questo nel film) e continuano a trovare nuovi modi per giocare con la nostra capacità di attenzione e nevrosi.
Pensi che sia iperbolico?
Prendi nota di quante volte aggiorni Instagram o Twitter la prossima volta che li usi: vedi come i nuovi post sembrano sempre arrivare in cima al tuo feed?
Non è un caso, non è un bug: questa è la fidelizzazione degli utenti.

In tutto, The Social Dilemma merita gli elogi che sta ricevendo su tutta la linea, ma il film richiede anche al suo pubblico un certo autocontrollo. Ci chiede nobilmente di stare all’erta e di monitorare le nostre relazioni con le app che ci tengono connessi, ma alimenta anche in modo innato la bestia algoritmica con la sua presenza su Netflix.

Come possiamo opporci a questo stato di cose?

Cancellandoci tutti dai social? Andando a vivere in un eremo in montagna? 

Le indicazioni di buon senso date in un brevissimo spazio nel documentario sono troppo generiche.

Un nuovo equilibrio digitale

C’è bisogno di una ri-educazione al mondo digitale. Siamo esseri umani e in quanto tali creature anche digitali. Dobbiamo essere educati al mondo digitale che vivremo fin dai primi anni di vita e questo non potrà mai succedere se non ci ri-educhiamo in primis noi adulti. Noi genitori, futuri genitori e adulti in generale.

Con Social Warning abbiamo deciso di “sporcarci le mani” e metterci a disposizione volontariamente per ragazzi, genitori e scuole per parlare delle opportunità e dei pericoli del web.

Non vogliamo essere più schiavi delle grandi multinazionali del digitale?
Allora scardiniamo la paura. Scardiniamo il futuro. Assieme.

Gregorio Ceccone

Author Gregorio Ceccone

Dal 2006 mi occupo di educazione ai media e al digitale: coltivo questa passione educativa sin da quando usavamo i cellulari in bianco e nero e non esistevano i selfie. Esperto in teorie e metodologie dell’e-learning e della media education. Negli anni ho avuto la possibilità di seguire e coordinare diversi progetti a livello nazionale ed europeo.

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