In questi giorni di “didattica a distanza” sono apparsi articoli e commenti che utilizzano il termine “cyberbullismo” per definire condotte lesive e diffamatorie nei confronti dei docenti da parte degli studenti. Un altro caso di uso inappropriato se non proprio errato del termine. Eppure una legge dello Stato, in vigore da ormai tre anni, offre una definizione piuttosto chiara del fenomeno. Mi riferisco alla Legge 71/17 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, norma di cui sono stata promotrice nella scorsa legislatura e che, ancora in parte sconosciuta, merita probabilmente di essere portata all’attenzione anche dei comunicatori. Il suo iter prende il via da una triste storia di cyberbullismo cui hanno fatto seguito approfondimenti e analisi interdisciplinari volte all’individuazione di concrete misure educative e preventive e a previsioni, ispirate al diritto mite, di tutela delle persone di minore età.
La mia esperienza parlamentare è stata, infatti, profondamente segnata dalla tragica vicenda di Carolina Picchio, quattordicenne novarese che si toglie la vita nel gennaio del 2013. Come sua insegnante ne conosco bene il fiero temperamento, l’energia positiva e la sensibilità nelle relazioni. Mia alunna alle scuole medie e da poco approdata alla secondaria di secondo grado è stata oggetto di gravissime condotte umilianti e prevaricatorie nella vita reale, ma quello che non l’ha spinta al gesto tragico è stato l’attacco sulla rete. Carolina si suicida nel gennaio del 2013 ed è la prima vittima acclarata di cyberbullismo in Italia.
Da poco eletta in Senato vengo nominata referente in Commissione per la protezione dei Diritti Umani per un’indagine conoscitiva su quella che è ormai considerata un’emergenza sociale; primo passo per poter approfondire il fenomeno del cyberbullismo. Le audizioni permettono alla Commissione di comprenderne la complessità. La giurisprudenza minorile ha dimostrato l’adeguatezza dei codici rispetto a quei comportamenti negativi che di fatto integrano veri e propri reati, ma manca una definizione del fenomeno che contempli un insieme di condotte volte a vittimizzare un soggetto o un piccolo gruppo. D’altro canto è altrettanto evidente quanto il problema sia legato allo sviluppo di competenze critiche in ambiente digitale. La sensazione dell’anonimato, l’intermediazione degli strumenti telematici, la potenza del web nell’amplificare il contenuto lesivo può mettere in seria difficoltà il responsabile di condotte di prevaricazione digitale che, in precoce fase evolutiva, non si dimostra in grado di percepire il disvalore dei messaggi umilianti e dannosi. Rispetto alle vittime si evidenzia la potenza pervasiva della rete nell’amplificazione della sofferenza e dell’isolamento, l’iperbolizzazione delle istanze identitarie, una percezione della web reputation compromessa per sempre e ovunque, la sensazione di vergogna e di impotenza che condiziona psicologicamente al punto dal non riuscire a chiedere aiuto, ma anche il diffondersi del gioco perverso del “vendicarsi” vittimizzando un altro soggetto ritenuto più fragile e così via. Il tutto a fronte di una subdola immaterialità che rende difficile il parental control e l’esercizio di vigilanza da parte dei docenti. Nessuna demonizzazione del mezzo, quindi, ma certamente la consapevolezza che i rischi corrano di pari passo alle opportunità.
E’ impellente la necessità di evitare conseguenze dannose a partire dai ruoli di vittime e bulli, ma è evidente come le prevaricazioni in rete siano il frutto di un contesto più allargato fatto di incompetenze e di mancato controllo etico che non si può riferire a singoli soggetti, ma ad un contesto più ampio, volendo alla società intera. La prima misura deve perciò essere rivolta a percorsi formativi che includano, possibilmente, tutte le componenti scolastiche (personale, studenti e famiglie) prevedendo anche il coinvolgimento di tutti gli operatori educativi delle agenzie extrascolastiche, di giustizia minorile, socio-sanitari che incrociano le persone di minore età.
Appare necessaria una legge rivolta al miglior interesse dei minori in quanto soggetti vulnerabili e quindi destinatari di misure rafforzate circa la propria riservatezza e sicurezza anche in internet; norme che prevedano una specifica formazione del cittadino digitale libero e responsabile, consapevole dei propri diritti (a partire da quelli di non essere discriminato e leso nella sua dignità) e dei propri doveri. Una legge che, alla luce della Convenzione ONU per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza di New York e della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori di Strasburgo avesse come obiettivo nella lotta contro il cyberbullismo quello di mettere al centro i minori come soggetti sociali attivi in grado di partecipare alla costruzione del proprio benessere.
La nostra indagine valica i confini nazionali sia in relazione al tema “media e minori”, sia rispetto ai programmi educativi e di prevenzione per un uso consapevole e sicuro della rete. Documento importante è la Decisione 1351/2008/CE del Parlamento e del Consiglio europeo e l’avvio dei programmi in ogni Paese membro. Il MIUR dà vita al programma Generazioni Connesse. Anche la Carta dei diritti e doveri in internet, redatta dalla Commissione presieduta da Stefano Rodotà alla Camera dei Deputati, rafforza la consapevolezza dell’urgenza di mettere al centro l’educazione alla cittadinanza digitale per prevenire il fenomeno delle prevaricazioni in rete.
Oggi potremmo dire che la Raccomandazione CM/Rec(2018)7 del Consiglio Europeo “Rispetto, tutela e soddisfazione dei diritti dei minori in ambiente digitale”, emanata a luglio 2018, mette ulteriormente a fuoco quello che ancora nel 2013 non era chiaro: il fenomeno del cyberbullismo non è un fenomeno che riguarda il singolo soggetto, ma l’intera società a partire dalla scuola e dalla famiglia. Per prevenirlo serve un salto culturale che solo un intervento strutturale in ambito formativo può favorire.
Per questa ragione dal 14 febbraio 2014, data della prima presentazione del ddl 1261”Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” a mia prima firma, inizia il percorso di confronto sui contenuti con studenti di ogni ordine e grado, ma anche con genitori, personale della scuola, avvocati, educatori, servizi territoriali, forze dell’ordine, giudici minorili, pedagogisti, psicologi e psicoterapeuti e con soggetti del terzo settore.
Dopo l’iter in commissione, la norma ottiene un’approvazione a larghissima maggioranza in Senato e, nonostante un iter travagliato, riesce ad essere approvata all’unanimità in quarta lettura alla Camera, circa due anni più tardi.
La Legge viene dedicata a Carolina ed entra in vigore il 18 giugno 2017 segnando una nuova fase d’impegno personale rivolta alla divulgazione dei suoi contenuti, all’emanazione dei provvedimenti conseguenti, alla “cura” della sua efficacia, alle diverse declinazioni legislative avviate in molte regioni italiane e alla necessità di rendere coerenti alcune scelte nazionali rispetto al nuovo DGPR (nuovo regolamento sulla privacy). In base alla Legge 71/17 il MIUR dà avvio alla formazione per i docenti referenti per il cyberbullismo (sia con specifici interventi della Polizia Postale sia con una dedicata piattaforma e-learning “ELISA”) provvedendo all’aggiornamento delle Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo in ambito scolastico presentate, nell’ottobre 2017, all’interno del Piano per l’educazione al rispetto. Esse prevedono la formazione del personale scolastico con la nomina di un referente per ogni istituto, la promozione di un ruolo attivo degli studenti con la peer education e la previsione di misure di sostegno delle vittime nonché di rieducazione dei minori coinvolti anche mediante attività riparatorie o di utilità sociale. Offrono, inoltre, indicazioni sulle informative alle famiglie da parte del Dirigente scolastico e linee-guida per la revisione dei regolamenti scolastici che debbono essere integrati con specifiche misure volte anche ai provvedimenti sanzionatori e per i documenti di programmazione e valutazione che vanno implementati con misure riferite alla prevenzione e contrasto del cyberbullismo. La strategia proposta per le azioni di prevenzione e contrasto al fenomeno è quella di creare reti con i servizi territoriali che coinvolgono le Forze di polizia, i servizi di giustizia minorile e socio-sanitari, ma anche il terzo settore e i centri di aggregazione giovanili nonché tutte le agenzie educative del territorio. Un ruolo particolare viene attribuito agli USR e, nelle more del Piano integrato, agli Osservatori regionali contro il bullismo di competenze degli Uffici Scolastici Regionali. Costruire una comunità educante per affrontare la sfida della media education è una condizione fondamentale per formare un cittadino digitale consapevole e per contrastare in modo responsabile e condiviso i fenomeni di prevaricazione che spesso sfuggono alle usuali categorie di tempo e spazio.
La Legge 71/17 è riconosciuta come legge fortemente innovativa ed è la prima legge in Europa sul fenomeno. A fronte di una emergenza sociale che non ha smesso di mietere vittime fra soggetti sempre più giovani in molti Paesi Europei, ho presentato i principi e le disposizioni in un’audizione svolta in Commissione Minori a Strasburgo il 18 gennaio 2018. Ho rivolto il mio appello accorato perché le diverse legislazioni europee prevedano analoghe normative; un’opportunità che darebbe ulteriore forza alle misure di tutela dei minori nei confronti delle aziende digitali.
Oltre alla corposa operazione di prevenzione e di contrasto effettuata dal sistema scolastico e formativo la norma contempla altre due specifiche previsioni di tutela per gli ultraquattordicenni che, come sappiamo, sono penalmente perseguibili. L’art. 2 “Tutela della dignità del minore” attribuisce loro il diritto di segnalare un contenuto ritenuto lesivo della propria dignità e chiederne la rimozione, il blocco o l’occultamento al titolare del trattamento. Il provider ha 24 ore per prendere in carico l’istanza e 24 per provvedere. In caso di inerzia analoga richiesta può essere rivolta al Garante della privacy (in alcune Regioni i Corecom si sono attivati con sportelli per raccogliere e sostenere le richieste di rimozione). Si può parlare di un diritto all’oblio riconosciuto al ragazzo che può promuovere l’istanza da solo o con chi riveste la responsabilità genitoriale (questi ultimi necessariamente nel caso il minore sia under14). L’altra è contenuta nell’art. 7 “Ammonimento del Questore”: una misura di carattere amministrativo che vede l’Autorità di sicurezza intervenire in modo tempestivo nel caso in cui non sia stata proposta querela o denuncia per reati di cyberbullismo. Mutuata dall’ammonimento per lo stalking, questa disposizione tende a tenere i ragazzi fuori dal penale prevedendo uno strumento amministrativo volto invece all’immediata responsabilizzazione del cyberbullo. Il minore ultraquattordicenne responsabile della condotta illecita commessa nei confronti di un altro minorenne è convocato con un genitore e ammonito (cartellino giallo). Gli effetti dell’ammonimento cessano con il compimento della maggiore età. L’esperienza di questi primi anni ha messo in luce la necessità di informare le famiglie su questa possibilità che si è rilevata molto efficace.
Entrambe le previsioni di tutela sono finalizzate a dare risposte il più possibile tempestive ai ragazzi siano essi vittime o responsabili di atti di cyberbullismo e questo perché la rete corre veloce. Oggi, a fronte di una formazione sempre più diffusa in ambiente scolastico, molti ragazzi che “assistono” a condotte di cyberbullismo comprendono l’importanza di intervenire interrompendo le catene d’odio e segnalando gli episodi di prevaricazione a peer educator o ad adulti di riferimento.
In questi 6 anni ho svolto circa 600 incontri in tutta Italia per sensibilizzare, diffondere i contenuti della legge e raccogliere le testimonianze e le esperienze di contrasto al cyberbullismo.
Purtroppo devo prendere atto, a tre anni di distanza, che molte previsioni non sono ancora state attuate e sono riferite all’art. 3: il piano d’azione nazionale, il codice di co-regolamentazione con le aziende digitali, il Comitato di monitoraggio. Tale inerzia riduce fortemente l’efficacia della norma.
Posso dire, però, che molto è stato fatto per affrontare il fenomeno in modo sinergico tra scuola e servizi territoriali anche grazie al contributo apportato da specifiche norme regionali in quasi tutta Italia. Le esperienze di prevenzione sono molteplici a cominciare dai più piccoli: dalla programmazione di una chat di classe dei genitori dei bambini 0-6 a cura dell’Ente locale agli interventi programmati fin dalla scuola dell’infanzia per sviluppare l’empatia, dall’attività di media education curata nelle primarie da esperti animatori digitali alla patente da smartphone nata nella provincia del VCO ed oggi in fase di programmazione su tutto il suo territorio della Regione Piemonte.
Possiamo dire che il fenomeno fino a qualche anno fa quasi del tutto sommerso è oggi ben percepito, ma non sempre se ne colgono i confini. Il termine cyberbullismo è infatti fortemente abusato in particolare sui media e questo non facilita il lavoro che con tanta dedizione si sta facendo anche con il prezioso sostegno delle forze dell’ordine e della magistratura minorile. E’ infatti evidente che casi di efferata violenza – per esempio ascrivibili al fenomeno delle baby gang non hanno nulla a che vedere con il cyberbullismo. Anche a causa della sovrapposizione di fenomeni diversi, in questa XVIII legislatura si è sentita l’esigenza di affrontare il problema dell’aggressività minorile, cosa che ha portato ad approvare in prima lettura alla Camera la Proposta di legge 1524, che riprende il tema delle prevaricazioni, si allontana dall’approccio pedagogico della mia Legge e ne modifica alcuni aspetti.
La Legge 71/17 merita di essere attuata in ogni sua parte prima di essere, eventualmente, modificata! Auspico che si faccia molta attenzione nel proseguo dell’iter, ascoltatando il mondo degli operatori che da anni sta lavorando in questo settore. Ultimo appello: prima di approvare definitivamente qualsiasi modifica si ascoltino i ragazzi, una rappresentanza dei tanti ragazzi, parliamo di migliaia, che nelle scuole italiane si sono formati come peer educator e che sono i veri portatori di esperienza oltre che di interessi. A dispetto dell’art. 12 della Convenzione dell’ONU, i minori vengono invece normalmente esclusi e silenziati anche da chi, come la Commissione bicamerale infanzia e adolescenza, dovrebbe lavorare per loro. Da immigrati digitali dovremmo tutti sentire il bisogno di ascoltare i nativi digitali e accompagnarli ad acquisire le competenze che possano promuovere e garantire sicurezza e benessere anche sulla rete.
Sulla necessità di formare cittadini digitali consapevoli interviene anche la Legge 92/19 che “reintroduce” l’educazione civica nella scuola con l’intero art. 5. Non si tratta di un progetto didattico, ma di un grande processo culturale e di una grande sfida educativa che ci vede tutti coinvolti. Alle logiche imperanti delle fake news e delle catene d’odio dobbiamo contrapporre la creatività e la consapevolezza di una cittadinanza digitale libera e democratica.